Rione Terra (Pozzuoli)

Il Rione Terra costituisce il primo nucleo abitativo di Pozzuoli. Abitato fin dal II secolo a.C. , costruito su una piccola altura  dalla quale era possibile controllare possibili invasioni sia da mare che dall’interno.

Sgomberato nel 1970 a causa di una presunta crisi bradisismica, è stato per lungo tempo oggetto di restauro e riqualificazione, insieme al percorso archeologico sottostante.

A partire dal 2014 è di nuovo aperto e visitabile.

Percorso archeologico sotterraneo nell’antica colonia romana, Puteoli.

L’area archeologica  è situata sotto la rocca di tufo che domina il golfo di Pozzuoli, comprende gli assi principali della città romana, cardini e decumani, in cui il visitatore  potrà osservare  dai depositi di grano, al forno per la lavorazione e la cottura del pane con le macine quasi intatte, ai criptoportici, alle botteghe ed, infine, ai magazzini.

Pozzuoli

Affascinante cittadina della provincia di Napoli che si affaccia nel suo bel golfo, e rientra nei famosi Campi Flegrei.

Pozzuoli, per il suo porto, è sempre stata una città molto importante sia in epoca greca che romana ma anche medievale.

Le tracce di questa sua storia ancora ben visibile in ogni angolo della città e persino nei suoi fondali marini a causa del singolare fenomeno del bradisismo, attività vulcanica che porta un periodico abbassamento (bradisismo positivo) o innalzamento (bradisismo negativo) del livello del suolo.

La città custodisce molte evidenze archeologiche e spazi verdi da scoprire come Villa Avellino con le sue cisterne romane, le tabernae di Via Ragnisco, il Monumento degli Anarchici e tanto altro.

Accanto alla natura e storia la città offre anche uno splendido lungomare dove passeggiare, ristoranti che preparano gustosi piatti tipici da riscoprire oltre a storie e leggende affascinanti.

Anfiteatro Flavio di Pozzuoli

Uno dei maggiori anfiteatri di epoca romana in Italia, che i bravi architetti di Vespasiano, gli stessi del Colosseo di Roma, costruiscono in opus reticulatum e in laterizio.

La sua edificazione, in sostituzione dell’Anfiteatro Minore di età romana repubblicana, non fu troppo celere, e, infatti, vide il passaggio di Nerone, Vespasiano e Tito e solo nel 79 d.C. risultò completo.

Due risultano essere gli elementi più significativi del sito ossia: l’arena che si può scorgere appena si accede al grande Anfiteatro Flavio, dove avevano luogo i ludii gladiatores, giochi con animali, seguiti dalle esecuzioni dei criminali, combattimenti di gladiatori o la riproposizione di famose battaglie, e i sotterranei e parti degli ingranaggi per sollevare le gabbie che portavano sull’arena belve feroci e probabilmente altri elementi di scenografia degli spettacoli.

Macellum di Pozzuoli

Il Macellum o, come viene chiamato comunemente, Tempio di Serapide è di certo uno dei monumenti più noti dei Campi Flegrei: si trova nella zona più vitale del centro di Pozzuoli, a pochi passi dalle banchine del porto.

Messo in luce già nel ‘700, è diventato il monumento simbolo del bradisismo flegreo: tante sono infatti le immagini che nel corso dei secoli lo ritraggono ora semi-sommerso dal livello del mare, ora completamente all’asciutto.

La struttura, che deve il suo nome al rinvenimento di una statua del dio Serapide, non è affatto un tempio, bensì il mercato della città romana.

Il monumento è costituito da un cortile quadrangolare scoperto pavimentato con lastre di marmo, circondato su tutti i lati da portici a due piani con colonne in granito grigio e capitelli corinzi ornati da soggetti di tema marino (conchiglie che contengono delfini), che inneggiano simbolicamente allo splendore della città dovuto al commercio marittimo.

L’accesso è posto sul lato sud-ovest ed è in asse con una grande esedra sul lato opposto inquadrata da colonne in marmo cipollino e pavimento in opus sectile, mentre al centro del cortile si innalza la tholos, struttura a pianta circolare colonnata, con al centro una fontana ottagonale. Il portico introduceva a una serrata serie di tabernae, i “negozi” del mercato, e a due ampie latrine, disposte agli angoli del lato nord-orientale.

Il monumento era arricchito da numerose statue, tra le quali quella già citata di Serapide e i gruppi di Oreste ed Elettra e di Dioniso con il fauno. L’aula absidata e la tholos subirono ristrutturazioni in età severiana, come testimoniano alcune condutture idriche (fistulae aquariae) che menzionano Settimio Severo.

Parco Archeologico di Cuma

Il sito archeologico di Cuma è tra i più antichi dei Campi Flegrei e forse l’unico con una straordinaria continuità di vita dall’età protostorica al medioevo. Il primo insediamento, di cui si conservano poche tracce sulle pendici dell’acropoli, risale all’età del Bronzo Finale e prosegue nell’età del Ferro con nuclei di abitato e necropoli. Nel secondo quarto dell’VIII sec. a.C. si impianta la colonia euboica di Kyme sotto la guida di Ippocle e Megastene, ma che secondo una tradizione mitologica sarebbe stata fondata da Dedalo, atterrato sulla collina dell’acropoli dopo il lungo volo dal labirinto di Creta per edificare un tempio ad Apollo.

La città greca vive una grande fioritura in età alto-arcaica, controlla un territorio vastissimo che si estende a nord nell’intera piana di Licola e a sud fino a Miseno e riveste un ruolo centrale nel commercio marittimo, al pari della coeva città di Pithecusa sull’isola di Ischia, oltre a costituire uno snodo fondamentale degli scambi con i principali centri indigeni ed etruschi dell’entroterra campano. Alla fine del VI sec. a.C. l’ascesa del tiranno Aristodemo, distintosi nella battaglia di Cuma del 524 a.C. contro gli Etruschi, dona alla città un rinnovato splendore con la costruzione di imponenti templi in blocchi di tufo, legno, tetti di terracotta splendidamente decorati e con il rafforzamento delle fortificazioni murarie.

Nel 421 a.C. la città entra nel dominio politico amministrativo e culturale dei Sanniti (la cosiddetta conquista): comincia allora un processo di integrazione tra la cultura greca e quella sannitica, ravvisabile nell’uso della lingua osca accanto a quella greca, nel cambiamento dei costumi funerari e delle commistioni di tipo cultuale. La dominazione sannitica dura poco meno di un secolo, perché nel 334 a.C. Cuma diventando civitas sine suffragio entra a pieno titolo nell’orbita di Roma e subisce trasformazioni edilizie ispirate al modello romano, tra i quali la realizzazione della piazza rettangolare porticata del Foro al posto dell’agorà greca. In seguito Cuma e il suo territorio vengono scelti da Ottaviano Augusto come punto di riferimento strategico nella lotta per il potere dopo il fallimento del secondo triumvirato e, dopo l’ascesa al principato come segno della pax augustea, l’imperatore dona una nuova luce alla città con numerose ristrutturazioni e abbellimenti, ispirati al modello dell’Urbe e allo schema programmatico della sua “politica delle immagini”.

Il ruolo di primo piano che Cuma e con essa l’intero territorio dei Campi Flegrei avevano assunto nell’ascesa al potere di Augusto è evidente anche nelle pagine ad essi dedicate da Virgilio nell’Eneide. La discesa agli Inferi di Enea, infatti, avviene dal Lago d’Averno, che un’antica tradizione aveva eletto a Porta degli Inferi, e prima di intraprendere questo viaggio così pericoloso l’eroe si reca a Cuma a consultare l’oracolo della Sibilla. I versi di Virgilio doneranno a Cuma e al mito della Sibilla una fama imperitura che ancora oggi conduce nel sito visitatori da ogni parte del mondo. Dal III sec. d.C. fino al medioevo una serie di alluvioni e impaludamenti progressivamente trasformano il volto della città, che tuttavia continua a vivere in prosperità per la presenza di officine di lavorazione dei metalli, del vetro e della produzione di materiali da costruzione. Allo stesso tempo i templi principali dell’acropoli vengono trasformati in basiliche paleocristiane e le gallerie sotterranee vengono sfruttate come luoghi di culto e sepoltura.

La guerra Greco-Gotica (535-553 d.C.) tra Ostrogoti e Bizantini si ambienta nelle sue ultime battute sull’acropoli, convertita ormai in castrum, in seguito conquistata e depredata da Longobardi e Saraceni. Si verifica allora un progressivo abbandono dell’area, fino alla definitiva distruzione nel 1207 ad opera dell’esercito napoletano guidato da Goffredo di Montefuscolo, giunto nella città per sbaragliare i predoni che stavano compiendo scorrerie in tutto il Regno e che si erano accampati proprio a Cuma.

cd Tempio di Giove

Sulla parte più alta della collina dell’acropoli svettava il tempio maggiore, un tempo attribuito a Giove, oggi alla luce di recenti ricerche e scavi attribuito ad Apollo, grazie al ritrovamento di numerose iscrizioni e di materiali votivi riferibili al culto di Apollo. Questa attribuzione concorda anche con il mito, tramandato da Virgilio, che racconta che Dedalo, al termine del volo che lo condusse da Creta in Occidente, fondò a Cuma un tempio dedicato ad Apollo sulla cima della collina che sarebbe divenuta l’acropoli della città.
Anche questo tempio, analogamente a quello della terrazza inferiore, risale almeno al VI secolo a.C. e se ne conservano i filari in grandi blocchi di tufo che compongono la parte più bassa del basamento. Saggi di approfondimento nella parte centrale, ovvero nella cella del tempio, hanno dimostrato che la struttura del tempio greco, con orientamento est-ovest e a cinque navate, fu mantenuta anche nella ristrutturazione di età romana, la cui peculiarità è costituita dalla cella cultuale, verosimilmente inaccessibile ai fedeli, dotata di finestre sui lati lunghi che consentivano una partecipazione solo parziale ai rituali sacri che avvenivano al suo interno. Anche questo tempio in età tardo-antica fu trasformato in chiesa, ancora rispettando la struttura originaria. Nella parte retrostante la cella fu realizzato un battistero, rivestito da lastre di marmi colorati, in parte ancora visibili e ricavata una piccola cappella dove probabilmente erano situate le tombe dei vescovi e le reliquie dei santi. La chiesa, dedicata a San Massimo, ebbe una grande rilevanza nell’ambito della diocesi di Pozzuoli durante tutto il medioevo e dopo la distruzione della città anch’essa, come tutti i monumenti del sito, fu spogliata dei suoi ricchi rivestimenti e arredi e alla fine abbandonata.

Oasi naturalistica di Monte Nuovo

Il monte Nuovo sorge il 29 settembre del 1538, in seguito ad un’intensa attività vulcanica durata appena tre giorni e preceduta da grandi fumate ed esplosioni che avevano messo in fuga parte degli abitanti di un villaggio di Tripergole che sorgeva nei pressi, che finì completamente distrutto.
Oasi naturalistica offre ai visitatori uno splendido panorama sul golfo di Pozzuoli oltre che particolari escursioni naturalistiche nei suoi diversi sentieri che permettono di visitare il cratere ricco di vegetazione della macchia mediterranea (come corbezzolo, leccio, mirto e lentisco) e che permette diversi scorci paesaggistici sul Lago ‘Averno, il Golfo di Napoli, la Penisola sorrentina e la zona di Baia.

Lago d’Averno

Uno specchio di acque cupe che occupa un antico cratere dove gli antichi romani posero l’ingresso agli inferi.
In passato, infatti, si racconta che le acque esalassero acido carbonico e gas che non permettevano la vita agli uccelli: da qui il nome Avernus, dal greco Aornon, luogo senza uccelli.
In epoca romana sotto Agrippa, il lago fu trasformato in uno dei porti di Cuma, il porto Julius, in aggiunta all’altro preesistente che si trovava sul mare, ove è l’attuale lago di Lucrino.
Contemporaneamente alla creazione del nuovo porto, furono scavate altre due gallerie: la Grotta di Cocceio, collegava il porto Julius alla città bassa di Cuma e la cd grotta della Sibilla, scavata nella collina che separa il lago di Averno dal lago di Lucrino.
Il lago è una delle più importanti zone umide del territorio con una flora e fauna ricca di alcuni esemplari tipici della macchia mediterranea come lecci, salici bianchi, ginestre, pini marittimi, biacco, gabbiano corso, cormorano, martin pescatore, gabbiano reale e folaga.
Insieme all’osservazione anche ravvicinata delle specie naturalistiche, il lago offre anche la possibilità di visitare le antiche evidenze archeologiche del cosiddetto “Tempio di Apollo”, ambienti termali del II secolo d.C.

Ripa puteolana

Nell’area marina del cosiddetto lido delle Monachelle, si possono incontrare sul fondale alcuni reperti e manufatti archeologici sommersi, difatti esso insiste sull’antica ripa puteolana.
Si tratta molto probabilmente di un abitato costituito da ville patrizie. Qui è possibile collocare la facoltosa famiglia dei Calpurni, nota sul territorio per la loro grande connessione al “culto degli augustali”.
Tra gli edifici sommersi vi sono anche una moltitudine di “Horrea” ovvero botteghe in cui è possibile veder circolare anche orate, spigole, ricciolette ed anche piccoli barracuda.

Peschiera semicircolare (Baia)

Di recente, davanti al Castello Aragonese di Baia, sono state scoperte delle peschiere monumentali, probabilmente, nel luogo dove gli studiosi collocano la villa di Giulio Cesare.

Anche se gli imperatori e la corte soggiornarono spesso a Baia, il Ninfeo di Claudio (41-54), è, comunque, l’unico monumento identificabile con un ambiente della sua residenza.

Le rovine delle peschiere si intravedono nelle acque sotto il castello di Baia, ancora oggi sono oggetto di scavo nello stesso castello edificato dagli Aragona.
Il tratto meglio conservato è quello della cd peschiera semicircolare.
L’immersione sotto costa è possibile in snorkeling. Oltre le peschiere vi sono 8 torri in opus pilarum, poste a difesa dai marosi e quali “captatori” della piena d’acqua necessaria alla circolazione all’interno della peschiera stessa. La profondità varia da -3 a -10 metri

Portus Julius

Portus Iulius o Portus Julius (Porto Giulio in onore di Gaio Giulio Cesare Ottaviano), dal I secolo a.C. (37 a.C.) al IV secolo, era un imponente complesso portuale edificato costruito nel 37 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa per volere di Ottaviano “facendo penetrare il mare nei laghi Lucrino e Averno”. Attualmente gli impianti risultano sommersi per effetto del bradisismo flegreo, e sono stati riscoperti solo nel 1956.

Il porto costiero offriva un naturale rifugio  per le navi da guerra ed un ampio cantiere navale interno.
Un canale artificiale lungo 300 metri già esistente che collegava i due laghi, venne allargato a 50 metri sotto la direzione dell’architetto Lucio Cocceio Aucto.
Per accedere al lago Lucrino fu scavato il breve tratto sabbioso che lo separava dal porto.
Fu edificato un molo lungo 372 metri, costruito su archi poggianti su quindici piloni quadrangolari ed era difeso da una lunga diga – sulla quale passava la Via Herculea (o Via Herculanea) – che partiva dalla Punta dell’Epitaffio, presso Baia, per giungere fino a Punta Caruso che includeva anche l’ingresso al canale navigabile che conduceva al Lucrino.

Il complesso militare aveva dei camminamenti sotterranei (la Grotta di Cocceio al Lago d’Averno) per mettere in comunicazione sicura il lago d’Averno con il porto di Cumae, come viene descritto da Strabone nella sua Geografia.

A causa della bassa profondità del lago Lucrino e il parziale insabbiamento, la funzione militare del porto si esaurì una ventina d’anni dopo la costruzione e la flotta fu trasferita a Miseno nel 12 a.C.
Comunque, per molto tempo, Portus Iulius, mantenne la funzione di porto commerciale (fino al IV secolo).

Portus Iulius fu abbandonato nel IV secolo per il progressivo abbassamento della linea di costa causato dal bradisismo.
Nei secoli successivi l’arretramento della costa marina produsse la scomparsa del lago di Lucrino e il porto romano venne completamente sommerso.

Riscoperto nel 1956 grazie alle foto aeree scattate dal pilota (e sub) militare Raimondo Bucher, e i rilievi subacquei effettuati, recentemente, dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici, è stato evidenziato un complesso sommerso – corrispondente al porto antico e ad un tratto della via Herculanea – che si estende per circa 10 ettari ad una profondità variabile da 2,50 a 5 metri circa.
Un plastico esposto nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello aragonese di Baia, realizzato da archeologi e topografi rigorosamente sulla base di dati scientifici ed evidenze archeologiche mostra con precisione la situazione topografica in epoca romana.

Bibliografia:

  • Cassio Dione Cocceiano, Historiae Romanae (XLVIII.50)
  • Strabone, Γεωγραφία (Geografia) (V.4.310-313)
  • Gaio Svetonio TranquilloDe vita Caesarum, libri I-II-III.
  • Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium (II.95)